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316 ATTO PRIMO


voi stesso, che non volete dichiarare a chi sieno stati diretti i vostri favori.

Lelio. Non merita ringraziamenti una tenue dimostrazione di stima. Se avrò l’onore di servire scopertamente quella ch’io amo, farò stupire Venezia per il buon gusto, con cui soglio dare i divertimenti.

Arlecchino. (E un de sti dì1 s’impegna i abiti, se no vien so padre). (da sè

Rosaura. (Sorella, questo è un cavalier molto ricco). (a Beatrice

Beatrice. (Non sarà per me. Son troppo sfortunata), (a Rosaura

Rosaura. Signore, favoritemi almeno il vostro nome.

Lelio. Volentieri. Don Asdrubale de’ Marchesi di Castel d’Oro.

Arlecchino. (Nomi e cognomi no ghe ne manca).2 (da sè

Beatrice. (Ritiriamoci. Non ci facciamo credere due civette). (a Rosaura

Rosaura. (Dite bene. Usiamo prudenza). Signor Marchese, con sua licenza, l’aria principia a offenderci il capo.

Lelio. Volete già ritirarvi?

Beatrice. Una vecchia di casa ci sollecita, perchè andiamo al riposo.

Lelio. Pazienza! Resto privo di un gran contento.

Rosaura. In altro tempo goderemo le vostre grazie.

Lelio. Domani, se il permettete, verrò in casa a riverirvi.

Arlecchino. (Sì, a drettura in casa). (da sè

Rosaura. Oh, bel bello, signor amante timido. In casa non si viene con questa facilità.

Lelio. Almeno vi riverirò alla finestra.

Rosaura. Sin qui ve lo concediamo.

Beatrice. E se vi dichiarerete, sarete ammesso a qualche cosa di più.

Lelio. Al ritorno del signor Dottore, ne parleremo. Intanto...

Rosaura. Signor Marchese, la riverisco. (entra

Beatrice. Signor Asdrubale, le son serva. (entra

  1. Bett.: zorni.
  2. Segue in Bett.: «Ros. (Canchero! È marchese!) piano a Beatrice».