Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1909, IV.djvu/327


IL BUGIARDO 315

Rosaura. Ma come ci conoscete?

Lelio. Sarà ormai un anno, ch’io albergo incognito in questa città.

Arlecchino. (Semo arrivadi ier sera). (da sè

Lelio. Appena arrivato, mi si presentarono agli occhi le bellezze della signora Rosaura e della signora Beatrice. Stetti1 qualche tempo dubbioso a chi dovessi donar il cuore, sembrandomi tutte due esserne degne, ma finalmente sono stato costretto a dichiararmi...

Rosaura. Per chi?

Lelio. Questo è quello che dir non posso per ora.

Arlecchino. (Se le ghe tenderà, el le torrà tutte do). (da sè

Beatrice. Ma perchè avete renitenza a spiegarvi?

Lelio. Perchè temo prevenuta quella beltà ch’io desidero.

Rosaura. Io vi assicuro che non ho amanti.

Beatrice. Nemmen io sono con alcuno impegnata.

Arlecchino. (Do piazze vacanti! l’è la vostra fortuna). (a Lelio, piano

Lelio. Però si fanno le serenate sotto le vostre finestre.

Rosaura. Vi giuro sull’onor mio, che non ne sappiamo l’autore.

Beatrice. Il cielo mi fulmini, se mi è noto chi l’abbia fatta.

Lelio. Lo credo anch’io che non lo saprete. Ma veramente avreste curiosità di saperlo?

Rosaura. Io ne muoio di volontà.

Beatrice. Siamo donne, e tanto basta.

Lelio. Orsù, vi leverò io di queste pene. La serenata che avete goduta, è un piccolo testimonio di quell’affetto ch’io nutro per la mia bella.

Arlecchino. (Oh maledettissimo! Che boccon de carota!) (da sè.

Rosaura. E non volete dire per chi?

Lelio. No certamente. Avete voi sentita quella canzonetta, ch’io feci cantare? Non parlava ella d’un amante segreto e timido? Quello appunto son io.

Rosaura. Se dunque alcuna di noi non vi ringrazia, imputatelo a

  1. Bett.: Durai.