Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1909, IV.djvu/326

314 ATTO PRIMO

Lelio. Oh, è molto mio amico. Dove è andato, se è lecito saperlo?

Rosaura. A Padova, per visitar un infermo.

Lelio. (Sono figlie d’un medico). (da sè) Certo è un grand’uomo il signor Dottore: è l’onore del nostro secolo.

Rosaura. Tutta bontà di chi lo sa compatire. Ma in grazia, chi è ella che ci conosce, e non è da noi conosciuto?

Lelio. Sono un adoratore del vostro merito.

Rosaura. Del mio?

Lelio. Di quello di una di voi, mie signore.

Beatrice. Fateci l’onore di dirci di qual di noi v’intendiate.

Lelio. Permettetemi che tuttavia tenga nascosto un tale arcano. A suo tempo mi spiegherò.

Rosaura. (Questo vorrà una di noi per consorte). (a Beatrice

Beatrice. (Sa il cielo a chi toccherà tal fortuna). (a Rosaura

SCENA III.

Arlecchino dalla locanda, e detti.

Arlecchino. Dov el andà? (cercando Lelio

Lelio. (E bene, sai tu il loro nome?) (piano ad Arlecchino, incontrandolo

Arlecchino. (So tutto. El camerier m’ha dito tutto).

Lelio. (Presto).

Arlecchino. (Le son fie d’un certo....)

Lelio. (Non voglio saper questo. Dimmi il loro nome).

Arlecchino. (Adesso. So pader l’è un medico).

Lelio. (Lo so. Dimmi il loro nome, che tu sia maledetto).

Arlecchino. (Una se chiama Rosaura, e l’altra Beatrice).

Lelio. (Basta così). (torna sotto al terrazzino) Perdonino, Ho data una commissione al mio servitore.

Rosaura. Ma voi siete veneziano, o pur forestiere?

Lelio. Sono un cavaliere napolitano.

Arlecchino. (Cavaliere e napolitano? Do busìea in t’una volta).

(da sè

  1. Bugie.