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IL BUGIARDO | 313 |
Beatrice. Io non saprei a chi attribuirla. Il signore Ottavio par di me innamorato, ma s’egli avesse fatta fare la serenata, non si sarebbe1 celato.
Rosaura. Nemmen io saprei sognarmi l’autore. Fiorindo non può essere. Più volte ho procurato dirgli2 qualche dolce parola, ed egli si è sempre mostrato nemico d’amore.
Beatrice3. Vedete colà un uomo che passeggia?
Rosaura4. Sì, e al lume di luna pare ben vestito.
Lelio. (Arlecchino non torna; non so chi sieno, nè come regolarmi. Basta, starò sui termini generali). (da sè, passeggiando
Rosaura. Ritiriamoci.
Beatrice. Che pazzia! Di che avete paura?
Lelio. Gran bella serenità di cielo! Che5 notte splendida e quieta! Mah! Non è maraviglia, se il cielo splende più dell’usato, poichè viene illuminato da due vaghissime stelle. (verso il terrazzino
Rosaura. (Parla di noi). (a Beatrice
Beatrice. (Bellissima6! Ascoltiamo). (a Rosaura
Lelio. Non vi è pericolo che l’umido raggio della luna ci offenda, poichè due soli ardenti riscaldano l’aria.
Beatrice. (O è qualche pazzo, o qualche nostro innamorato). (a Rosaura
Rosaura. (Pare un giovine molto ben fatto, e parla assai bene). (a Beatrice
Lelio. Se non temessi la taccia di temerario, ardirei augurare a lor signore la buona notte.
Rosaura. Anzi ci fa onore7.
Lelio. Stanno godendo il fresco? Veramente la stagion lo richiede.
Beatrice. Godiamo questo poco di libertà, per l’assenza di nostro padre.
Lelio. Ah, non è in città il loro genitore?
Beatrice. No, signore.
Rosaura. Lo conosce ella nostro padre?