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292 ATTO TERZO

SCENA XXV.

Il Garzone del barbiere, e detti.

Garzone. Signore spione, non venga più a farsi fare la barba nella nostra bottega. (entra nella sua bottega)

SCENA ULTIMA.

Il Cameriere della locanda e detti.

Cameriere. Signora spia1 non venga più a far desinari alla nostra locanda. (entra nella locanda)

Leandro2. Signor protettore; tra voi e me in confidenza far la spia è azion da briccone. (entra nella locanda)

Placida. Altro che castagne secche! Signor soffione. (parte dalla finestra)

Lisaura. Alla berlina, alla berlina. (parte dalla finestra)

Vittoria. O che caro signor don Marzio! Quei dieci zecchini, che ha prestati a mio marito, saranno stati una paga di esploratore. (parte dalla finestra)

Eugenio. Riverisco il signor confidente. (parte dalla finestra)

Trappola. Io fo riverenza al signor referendario. (entra in bottega)

Don Marzio. Sono stordito, sono avvilito, non so in qual mondo mi sia. Spione a me? A me spione? Per avere svelato accidentalmente3 il reo costume di Pandolfo, sarò imputato di spione? Io non conosceva il birro, non prevedeva l’inganno, non sono reo di questo infame delitto. Eppur tutti m’insultano, tutti mi vilipendono, niuno mi vuole, ognuno mi scaccia. Ah sì, hanno ragione, la mia lingua, o presto o tardi, mi doveva condurre a qualche gran precipizio. Ella mi ha acquistata l’infamia, che è il peggiore de’ mali. Qui non serve il giustificarmi. Ho perduto il credito e non lo riacquisto mai più. Anderò via di

  1. Bett. e Pap.: Signore spione.
  2. Mancano in Bettin. queste parole di Leandro.
  3. Bett.: per accidente.