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24 | ATTO PRIMO |
nostro mistier. Un povero commediante, che ha fatto el so studio segondo l’arte, e che ha fatto l’uso de dir all’improvviso ben o mal quel che vien, trovandose in necessità de studiar e de dover dir el premedità, se el gh’ha reputazion, bisogna che el ghe pensa, bisogna che el se sfadiga a studiar, e che el trema sempre, ogni volta che se fa una nova commedia, dubitando o de no saverla quanto basta, o de no sostegnir el carattere come xe necessario.
Orazio. Siamo d’accordoa, che questa nostra1 maniera di recitare esiga maggior fatica e maggior attenzione; ma quanto maggior riputazione ai comici acquista? Ditemi, di grazia, con tutte le commedie dell’arte avreste mai riscosso l’applauso che avete avuto nell’Uomo prudente, nell’Avvocato, nei Due gemelli2 e in tante altre, nelle quali il poeta si è compiaciuto di preeleggere il Pantalone?
Tonino. Xe vero; son contentissimo, ma tremo sempre. Me par sempre che el sbalzo sia troppo grando, e me recordo quei versi del Tasso:
«Mentre ai voli troppo alti e repentini
«Sogliono i precipizi esser vicini.
Orazio. Sapete il Tasso? Si vede che siete pratico di Venezia e del gusto di essa quanto al Tasso, che vi si canta quasi comunemente.
Tonino. Oh, in materia de Venezia, so anca mi de barca menar3.
Orazio. Vi siete divertito in essa da giovine?
Tonino. Che cade!b Ho fatto un poco de tutto.
Orazio. Colle belle donne come ve la siete passata?
«Le onorate memorie ancora impresse.
Orazio. Bravo, signor Pantalone; mi piace il vostro brio, la vostra giovialità: spesse volte vi sento cantare.
Tonino. Sior sì; co no gh’ho bezzi, canto sempre.