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LA BOTTEGA DEL CAFFÈ 279

SCENA VI.

Ridolfo ed Eugenio.


Ridolfo. Se posso, voglio vedere di far del bene anche a questa povera diavola. E nello stesso tempo, facendola partire con suo marito, la signora Vittoria non avrà più di lei gelosia. Già mi ha detto qualche cosa della pellegrina.

Eugenio. Voi siete un uomo di buon cuore. In caso di bisogno, troverete cento amici che s’impiegheranno1 per voi.

Ridolfo. Prego il cielo di non aver bisogno di nessuno. In tal caso non so che cosa potessi sperare. Al mondo vi è dell’ingratitudine assai.

Eugenio. Di me potrete disporre fin ch’io viva.

Ridolfo. La ringrazio infinitamente. Ma badiamo a noi. Che pensa ella di fare? Vuol andar in camerino da sua moglie, o vuol farla venire in bottega? Vuol andar solo? Vuole che venga anch’io? Comandi.

Eugenio. In bottega non istà bene; se venite anche voi, avrà soggezione. Se vado solo, mi vorrà cavare gli occhi... Non importa ch’ella si sfoghi, che poi la collera passerà. Anderò solo.

Ridolfo. Vada pure, col nome del cielo.

Eugenio. Se bisogna, vi chiamerò.

Ridolfo. Si ricordi che io non servo per testimonio.

Eugenio. Oh, che caro Ridolfo! Vado. (in atto d’incamminarsi)

Ridolfo. Via, bravo.

Eugenio. Che cosa credete che abbia da essere?

Ridolfo. Bene.

Eugenio. Pianti o graffiature2?

Ridolfo. Un poco di tutto.

Eugenio. E poi?

Ridolfo. «Ognun dal canto suo cura si prenda».

Eugenio. Se non chiamo, non venite.

Ridolfo. Già ci s’intende.

  1. Bett.: che opereranno.
  2. Bett.: grafignature.