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LA BOTTEGA DEL CAFFÈ 269

Placida. (Questi è mio marito senz’altro). (da sè) Caro galantuomo, fatemi un piacere, conducetemi su da questi signori, che voglio far loro una burla. (al cameriere)

Cameriere. Sarà servita. (Solita carica dei camerieri). (da sè; l’introduce per la solita bottega del giuoco)

Ridolfo. Animo, prenda1 coraggio, non sarà niente. (a Vittoria)

Vittoria. Io mi sento morire. (rinviene)
(Dalle finestre dei camerini si vedono alzarsi tutti da tavola in confusione, per la sorpresa di Leandro vedendo Placida, e perchè mostra di volerla uccidere.)

Eugenio. No, fermatevi.

Don Marzio. Non fate.

Leandro. Levati di qui.

Placida. Aiuto, aiuto. (Fugge via per la scala. Leandro vuol seguitarla colla spada, Eugenio lo trattiene.)

Trappola. (Con un tondino di roba in un tovagliuolo, salta da una finestra e fugge in bottega del caffè.)

Placida. (Esce dalla bisca correndo e fugge nella locanda.)

Eugenio. (Con arme alla mano in difesa di Placida, contro Leandro che la inseguisce.)

Don Marzio. (Esce pian piano dalla biscaccia e fugge via, dicendo) Rumores fuge.

Camerieri. (Dalla bisca passano nella locanda e serrano la porta.)

Vittoria. (Resta in bottega, assistita da Ridolfo.)

Leandro. Liberate il passo. Voglio entrare in quella locanda. (colla spada alla mano, contro Eugenio)

Eugenio. No, non sarà mai vero. Siete un barbaro contro la vostra2 moglie, ed io la difenderò sino all’ultimo sangue.

Leandro. Giuro al cielo, ve ne pentirete, (incalza Eugenio colla spada)

Eugenio. Non ho paura di voi.
(Incalza Leandro e l’obbliga rinculare tanto che trovando la casa della ballerina aperta, entra in quella e si salva.)

  1. Bett.: si dia.
  2. Bett. aggiunge: povera.