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IL TEATRO COMICO 21

SCENA II.

Placida e detti.

Placida. Ecco qui; io son la prima di tutti. Queste signore donne non favoriscono? Signor Orazio, se tardano, io me ne vado.

Orazio. Cara signora, siete venuta in questo momento, e di già v’inquietate? Abbiate pazienza; ne ho tanta io, abbiatene un poca voi ancora.

Placida. Parmi che a me si potesse mandare l’avviso, quando tutti stati fossero ragunati.

Eugenio. (Sentite? Parla da prima donna). (piano ad Orazio)

Orazio. (Ci vuol politica: convien sofferirla). Signora mia, vi ho pregata a venir per tempo, e ho desiderato che veniste prima degli altri, per poter discorrere fra voi e me di qualche cosa toccante la direzione delle nostre commedie.

Placida. Non siete il capo della compagnia? Voi potete disporre senza dipendere.

Orazio. Posso disporre, egli è vero, ma ho piacere che tutti sieno di me contenti, e voi specialmente per cui ho tutta la stima.

Eugenio. (Volete voi dipendere da’ suoi consigli?) (piano ad Orazio)

Orazio. (Questa è la mia massima; ascolto tutti, e poi fo a mio modo). (piano)

Placida. Ditemi, signor Orazio, qual è la commedia che avete destinato di fare domani a sera?

Orazio. Quella nuova intitolata: Il padre rivale del figlio. Ieri abbiamo provato il primo e il secondo atto, e oggi proveremo il terzo.

Placida. Per provarla non ho difficoltà, ma per farla domani a sera non sono persuasa.

Eugenio. (Sentite? Non l’approva). (piano ad Orazio)

Orazio. (E che sì, che l’approverà). (da sè) Qual altra commedia credereste voi che fosse meglio rappresentare?

Placida. L’autore che somministra a noi le commedie, ne ha fatte in quest’anno sedici, tutte nuove, tutte di carattere, tutte scritte. Facciamone una di quelle.