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254 ATTO SECONDO

Ridolfo. Non fa altro che piangere, poverina! Fa compassione.

Eugenio. Se sapeste come era arrabbiata contro di me! Voleva andar da suo padre, voleva la sua dote, voleva far delle cose grandi.

Ridolfo. Come l’ha accomodata?

Eugenio. Con quattro carezze.

Ridolfo. Si vede che le vuol bène; è assai di buon cuore.

Eugenio. Ma quando va in collera, diventa una bestia.

Ridolfo. Non bisogna poi maltrattarla. E una signora nata bene, allevata bene. M’ha detto, che s’io lo vedo, gli dica che vada a pranzo a buon’ora.

Eugenio. Sì sì, ora vado.

Ridolfo. Caro signor Eugenio, la prego, badi al sodo, lasci andar il giuoco; non si perda dietro alle donne; giacchè V. S. ha una moglie giovine, bella e che gli vuol bene, che vuol cercare di più?

Eugenio. Dite bene; vi ringrazio davvero.

Pandolfo. (Dalla sua bottega si spurga, acciò Eugenio lo senta e lo guardi. Eugenio si volta. Pandolfo fa cenno che Leandro l’aspetta a giuocare. Eugenio colla mano fa cenno che onderà; Pandolfo torna in bottega. Ridolfo non se ne avvede.)

Ridolfo. Io la consiglierei andar a casa adesso. Poco manca al mezzogiorno. Vada, consoli la sua cara sposa.

Eugenio. Sì, vado subito. Oggi ci rivedremo.

Ridolfo. Dove posso servirla, la mi comandi.

Eugenio. Vi sono tanto obbligato. (vorrebbe andare al giuoco, ma teme che Ridolfo lo veda)

Ridolfo. Comanda niente? Ha bisogno di niente?

Eugenio. Niente, niente. A rivedervi.

Ridolfo. Le son servitore. (si volta verso la sua bottega)

Eugenio. ( Vedendo che Ridolfo non l’osserva, entra nella bottega del giuoco.)

SCENA VIII.

Ridolfo, poi Don Marzio.


Ridolfo. Spero un poco alla volta tirarlo in buona strada. Mi dirà qualcuno: perchè vuoi tu romperti il capo per un giovine