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LA BOTTEGA DEL CAFFÈ 253


alla mano, un sopra l’altro, senza ladronerie, senza scrocchi, senza bricconate da truffatori.

Eugenio. Quand’è così, Ridolfo caro, sempre più vi ringrazio; straccio quest’ordine, e da voi, signor sensale, non mi occorre altro. (a Pandolfo)

Ridolfo. (Il diavolo l’ha condotto qui. L’abito è andato 1 in fumo). (da sè) Bene, non importa, averò gettati via i miei passi.

Eugenio. Mi dispiace del vostro incomodo.

Ridolfo. Almeno da bevere l’acquavite.

Eugenio. Aspettate, tenete questo ducato. (cava un ducato dalla borsa che gli ha dato Ridolfo)

Ridolfo. Obbligatissimo. (Già vi cascherà un’altra volta), (da sè)

Ridolfo. (Ecco come getta via i suoi denari). (da sè)

Pandolfo. Mi comanda altro? (ad Eugenio)

Eugenio. La grazia vostra.

Pandolfo. (Vuole?) (gli fa cenno se vuol giuocare, in maniera che Ridolfo non veda)

Eugenio. (Andate, che vengo). (di nascosto egli pure a Ridolfo)

Pandolfo. (Già se li giuoca prima del desinare). (va nella sua bottega e poi torna fuori)

Eugenio. Come è andata, Ridolfo? Avete veduto il debitore così presto? Vi ha dati subito li denari?

Ridolfo. Per dirgli la verità, li avevo in tasca sin dalla prima volta; ma io non glieli voleva dar tutti subito, acciò non li mandasse male sì presto.

Eugenio. Mi fate torto a dirmi così: non sono già un ragazzo. Basta... dove sono gli orecchini?

Ridolfo. Quel caro signor don Marzio, dopo aver avuti i dieci zecchini, ha voluto per forza portar gli orecchini colle sue mani alla signora Vittoria.

Eugenio. Avete parlato voi con mia moglie?

Ridolfo. Ho parlato certo: sono andato anch’io col signor don Marzio.

Eugenio. Che dice?

  1. Bett.: ito.