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LA BOTTEGA DEL CAFFÈ | 251 |
Ridolfo. Signor Eugenio, servitor suo.
Eugenio. Oh, Vi saluto. (seguitando a scrivere)
Ridolfo. Negozi, negozi, signor Eugenio? Negozi?
Eugenio. Un piccolo negozietto. (scrìvendo)
Ridolfo. Posso esser degno di saper qualche cosa?
Eugenio. Vedete cosa vuol dire a dar la roba a credenza? Non mi posso prevalere del mio; ho bisogno di denari e convien ch’io rompa il collo ad altre due pezze di panno.
Ridolfo. Non si dice, che rompa il collo a due pezze di panno, ma che le venda come si può.
Ridolfo. Quanto le danno al braccio?
Eugenio. Mi vergogno a dirlo. Otto lire.
Pandolfo. Ma i suoi quattrini uno sopra l’altro.
Ridolfo. E V. S. vuol precipitar la sua roba così miseramente?
Eugenio. Ma se non posso fare a meno! Ho bisogno di denari.
Pandolfo. Non è anche poco, da un’ora all’altra trovar i denari che gli bisognano.
Ridolfo. Di quanto avrebbe di bisogno? (ad Eugenio)
Eugenio. Che? Avete da darmene?
Pandolfo. (Sta a vedere che costui mi rovina il negozio), (da sè)
Ridolfo. Se bastassero sei o sette zecchini, li troverei.
Eugenio. Eh via! Freddure, freddure! Ho bisogno di denari. (scrive)
Pandolfo. (Manco male!) (da sè)
Ridolfo. Aspetti; quanto importeranno le due pezze di panno a otto lire il braccio?
Eugenio. Facciamo il conto. Le pezze tirano sessanta braccia l’una: due via sessanta, cento e venti. Cento e venti ducati d’argento.
Pandolfo. Ma vi è poi la senseria da pagare.
Ridolfo. A chi si paga la senseria? (a Pandolfo)
Pandolfo. A me, signore, a me. (a Ridolfo)
Ridolfo. Benissimo. Cento e venti ducati d’argento, a lire otto l’uno, quanti zecchini fanno?
Eugenio. Ogni undici, quattro zecchini. Dieci via undici, cento