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250 ATTO SECONDO

Pandolfo. A forza di parlare l’ho tirato a darmi otto lire al braccio.

Eugenio. Che diavolo dite? Otto lire al braccio? Ridolfo me ne ha fatto vendere due pezze a tredici lire.

Pandolfo. Denari subito?

Eugenio. Parte subito, e il resto con respiro.

Pandolfo. Oh che buon negozio! Col respiro! Io vi fo dare tutti i denari un sopra l’altro. Tante braccia di panno, tanti bei ducati d’argento veneziani.

Eugenio. (Ridolfo non si vede! Vorrei denari; son punto). (da sè)

Pandolfo. Se avesse voluto vendere il panno a credenza, l’avrei venduto anche sedici lire. Ma col denaro alla mano, al dì d’oggi, quando si possono pigliare, si pigliano.

Eugenio. Ma se costa a me dieci lire.

Pandolfo. Cosa importa perder due lire al braccio nel panno, se avete i quattrini per fare i fatti vostri, e da potervi ricattare di quel che avete perduto?

Eugenio. Non si potrebbe migliorare il negozio? Darlo per il costo?

Pandolfo. Non vi è speranza di crescere un quattrinello.

Eugenio. (Bisogna farlo per necessità). (da sè) Via, quel che s’ha da fare, si faccia subito.

Pandolfo. Fatemi l’ordine per aver le due pezze di panno, e in mezz’ora vi porto qui il denaro.

Eugenio. Son qui subito. Giovani, datemi da scrivere. (i garzoni portano il tavolino, col bisogno per iscrivere)

Pandolfo. Scrivete al giovine, che mi dia quelle due pezze di panno che ho segnate io.

Eugenio. Benissimo, per me è tutt’uno. (scrive)

Pandolfo. (Oh, che bell’abito che mi voglio fare!) (da sè)

SCENA VII.

Ridolfo dalla strada, e detti.


Ridolfo. (Il signor Eugenio scrive d’accordo con messer Pandolfo. Vi è qualche novità). (da sè)

Pandolfo. (Non vorrei che costui mi venisse a interrompere sul più bello). (da sè, vedendo Ridolfo)