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248 ATTO SECONDO

Ridolfo. Signore, ha ella gli orecchini del signor Eugenio?

Don Marzio. Eccoli qui, questi belli orecchini non vagliono un corno; mi ha trappolato. Briccone! si è ritirato per non pagarmi; è fallito, è fallito.

Ridolfo. Prenda, signore, e non faccia altro fracasso; questi sono dieci zecchini, favorisca darmi i pendenti.

Don Marzio. Sono di peso? (osserva coll’occhialetto)

Ridolfo. Glieli mantengo di peso; e se calano, son qua io.

Don Marzio. Li mettete fuori voi?

Ridolfo. Io non c’entro; questi sono denari del signor Eugenio.

Don Marzio. Come ha fatto a trovare questi denari?

Ridolfo. Io non so i fatti suoi.

Don Marzio. Li ha vinti al giuoco?

Ridolfo. Le dico che non lo so.

Don Marzio. Ah, ora che ci penso, avrà venduto il panno. Sì, sì, ha venduto il panno; gliel’ha fatto vendere messer Pandolfo.

Ridolfo. Sia come esser si voglia, prenda i danari, e favorisca rendere a me gli orecchini.

Don Marzio. Ve li ha dati da sè il signor Eugenio, o ve li ha dati Pandolfo?

Ridolfo. Oh, l’è lunga! Li vuole, o non li vuole?

Don Marzio. Date qua, date qua. Povero panno! L’avrà precipitato.

Ridolfo. Mi dà gli orecchini?

Don Marzio. Li avete da portar a lui?

Ridolfo. A lui.

Don Marzio. A lui, o a sua moglie?

Ridolfo. O a lui, o a sua moglie. (con impazienza)

Don Marzio. Egli dov’è?

Ridolfo. Non lo so.

Don Marzio. Dunque li porterete a sua moglie?

Ridolfo. Li porterò a sua moglie.

Don Marzio. Voglio venire anch’io.

Ridolfo. Li dia a me, e non pensi altro. Sono un galantuomo.