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242 | ATTO PRIMO |
Vittoria. Zitto; non facciamo scene per la1 strada.
Eugenio. Se aveste riputazione, non verreste a cimentare vostro marito in una bottega da caffè.
Vittoria. Non dubitate, non ci verrò più.
Eugenio. Animo, via di qua.
Vittoria. Vado, vi obbedisco, perchè una moglie onesta deve obbedire anche un marito indiscreto. Ma forse forse sospirerete d’avermi, quando non mi potrete vedere. Chiamerete forse per nome la vostra cara consorte, quando ella non sarà in grado più di rispondervi e di aiutarvi. Non vi potrete dolere dell’amor mio. Ho fatto quanto fare poteva una moglie innamorata di suo marito. M’avete con ingratitudine corrisposto; pazienza. Piangerò da voi lontana, ma non saprò così spesso i torti che voi mi fate. V’amerò sempre, ma non mi vedrete mai più. (parte)
Eugenio. Povera donna! Mi ha intenerito. So che lo dice, ma non è capace di farlo: le anderò dietro alla lontana, e la piglierò colle buone. S’ella mi porta via la dote, son rovinato. Ma non avrà cuore di farlo. Quando la moglie è in collera, quattro carezze bastano per consolarla. (parte)
Fine dell’Atto Primo.
- ↑ Bett.: qui in.