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240 ATTO PRIMO


che il mio tacere faciliti la sua mala condotta. Parlerò, dirò le mie ragioni e se le parole non bastano1 ricorrerò alla giustizia.

Trappola. È vero, è vero. Eccolo che viene dalla locanda.

Vittoria. Caro amico, lasciatemi sola.

Trappola. Si serva pure, come più le piace2. (entra nell’interno della bottega)

SCENA XX.

Vittoria, poi Eugenio dalla locanda.

Vittoria. Voglio accrescere la di lui sorpresa col mascherarmi. (si maschera)

Eugenio. Io non so quel ch’io m’abbia a dire3; questa nega, e quei tien sodo. Don Marzio so che è una mala lingua. A queste donne che viaggiano, non è da credere. Mascheretta? A buon’ora!4Siete mutola? Volete caffè? Volete niente? Comandate.

Vittoria. Non ho bisogno di caffè, ma di pane. (si smaschera)

Eugenio. Come! Che cosa fate voi qui?5

Vittoria. Eccomi qui, strascinata dalla disperazione.

Eugenio. Che novità è questa? A quest’ora in maschera?

Vittoria. Cosa dite, eh? Che bel divertimento! A quest’ora in maschera.

Eugenio. Andate subito a casa vostra.

Vittoria. Anderò a casa, e voi resterete al divertimento.

Eugenio. Voi andate a casa, ed io resterò dove mi piacerà di restare.

Vittoria. Bella vita, signor consorte.

Eugenio. Meno ciarle, signora, vada a casa, che farà meglio.

Vittoria. Sì, anderò a casa; ma anderò a casa mia, non a casa vostra.

Eugenio. Dove intendereste d’andare?

Vittoria. Da mio padre, il quale, nauseato de’ mali trattamenti

  1. Bett.: basteranno.
  2. Bett.: Si serva pure, e se vuole il camerino, marito e moglie senza malizia.
  3. Bett.: cosa dire.
  4. Bett. e Pap. aggiungono: Andate per il mastico?
  5. Bett.: Come, siora, cosa fate qui?