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232 | ATTO PRIMO |
parir con onore. Se ella mi avesse aperto, non avrebbe perduto il suo tempo, e voi non sareste restato al di sotto coi vostri incerti. Questi sono danari, questi sono trenta zecchini, e queste faccie, quando non ne hanno, ne trovano1. Tenete i vostri trenta zecchini, e imparate a parlare con i galantuomini della mia sorta. (va a sedere in bottega del caffè)
Leandro. (Mi ha pagato; dica ciò che vuole, che non m’importa). (da sè) Aprite. (a Lisaura)
Lisaura. Dove siete stato tutta questa notte?
Leandro. Aprite.
Lisaura. Andate al diavolo.
Leandro. Aprite. (versa gli zecchini nel cappello, acciò Lisaura li veda)
Lisaura. Per questa volta vi apro. (si ritira ed apre)
Leandro. Mi fa grazia, mediante la raccomandazione di queste belle monete. (entra in casa)
Eugenio. Egli sì, ed io no? Non son chi sono, se non gliela faccio vedere.
SCENA XIV.
Placida, da pellegrina, ed Eugenio.
Placida. Un poco di carità alla povera pellegrina.
Eugenio. (Ecco qui; corre la moda delle pellegrine). (da sè)
Placida. Signore, per amor del cielo, mi dia qualche cosa.(ad Eugenio)
Eugenio. Che vuol dir questo2, signora pellegrina? Si va così per divertimento, o per pretesto?
Placida. Nè per l’uno, nè per l’altro.
Eugenio. Dunque per qual causa si gira il mondo?
Placida. Per bisogno.
Eugenio. Bisogno di che?
- ↑ Così segue nell’ed. Bett.: Tenete i vostri trenta zecchini; imparate a parlare coi galantuomini, e prima di nominarli, nettatevi ben bene la bocca, guardatevi nello specchio, e vergognatevi di mettervi con noi altri mercanti, che siamo sempre stati e saremo civili colle donne, fedeli cogli amici, generosi coi forestieri, ed onorati con tutto il mondo.
- ↑ Bett.: Cosa vuol dire.