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LA BOTTEGA DEL CAFFÈ | 229 |
nosco la mia fortuna. Non ho cuor di vederla assassinare da questi cani.
Eugenio. Voi siete un gran galantuomo.
Ridolfo. Favorisca di stender l’ordine in carta.
Eugenio. Son qui; dettatelo voi, che io scriverò.
Ridolfo. Che nome ha il primo giovane del suo negozio?
Eugenio. Pasquino de’ Cavoli.
Ridolfo. Pasquino de’ Cavoli... (detta, ed Eugenio scrive) Consegnerete a messer Ridolfo Gamboni... pezze due panno padovano... a sua elezione, acciò egli ne faccia esito per conto mio... avendomi prestato gratuitamente... zecchini trenta... Vi metta la data, e si sottoscriva.
Eugenio. Ecco fatto.
Ridolfo. Si fida ella di me?
Eugenio. Capperi! Non volete?
Ridolfo. Ed io mi fido di lei. Tenga, questi sono trenta zecchini. (gli numera trenta zecchini)
Eugenio. Caro amico, vi sono obbligato.
Ridolfo. Signor Eugenio, gliegli do, acciò possa comparire puntuale e onorato; le venderò il panno io, acciò non le venga mangiato, e vado subito senza perder tempo: ma la mi permetta che faccia con lei un piccolo sfogo d’amore, per l’antica servitù che le professo. Questa che V. S. tiene, è la vera strada di andare in rovina. Presto presto si perde il credito, e si fallisce. Lasci andar il giuoco, lasci le male pratiche, attenda al suo negozio, alla sua famiglia, e si regoli con giudizio. Poche parole, ma buone, dette da un uomo ordinario, ma di buon cuore; se le ascolterà, sarà meglio per lei. (parte)
SCENA XII.
Eugenio solo, poi Lisaura alla finestra.
Eugenio. Non dice male; confesso che non dice male. Mia moglie, povera disgraziata, che mai dirà? Questa notte non mi ha veduto; quanti lunari avrà ella fatti? Già le donne, quando