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228 | ATTO PRIMO |
Ridolfo. E dice1 male di tutti,
Eugenio. Non so come faccia a parlar sempre de’ fatti altrui.
Ridolfo. Le dirò: egli ha pochissime facoltà; ha poco da pensare a’ fatti suoi, e per questo pensa sempre a quelli degli altri.
Eugenio. Veramente è fortuna il non conoscerlo.
Ridolfo. Caro signor Eugenio, come ha ella fatto a intricarsi con lui? Non aveva altri da domandare dieci zecchini in prestito?
Eugenio. Anche voi lo sapete?
Ridolfo. L’ha detto qui pubblicamente in bottega2.
Eugenio. Caro amico, sapete come va: quando uno ha bisogno, si attacca a tutto.
Ridolfo. Anche questa mattina, per quel che ho sentito, V. S. si è attaccata poco bene.
Eugenio. Credete che messer Pandolfo mi voglia gabbare?
Ridolfo. Vedrà che razza di negozio le verrà a proporre3.
Eugenio. Ma che devo fare?4 Bisogna che io paghi trenta zecchini, che ho persi sulla parola. Mi vorrei liberare dal tormento di don Marzio. Ho qualche altra premura; se posso vendere due pezze di panno, fo tutti i fatti miei.
Ridolfo. Che qualità di panno è quello che vorrebbe esitare?
Eugenio. Panno padovano, che vale quattordici lire5 il braccio.
Ridolfo. Vuol ella che veda io di farglielo vendere con riputazione?
Eugenio. Vi sarei bene obbligato.
Ridolfo. Mi dia un poco di tempo, e lasci operare a me.
Eugenio. Tempo? volentieri. Ma quello aspetta i trenta zecchini.
Ridolfo. Venga qui, favorisca, mi faccia un ordine che mi sieno consegnate due pezze di panno, ed io medesimo le presterò i trenta zecchini.
Eugenio. Sì, caro, vi sarò obbligato. Saprò le mie obbligazioni.
Ridolfo. Mi maraviglio; non pretendo nemmeno un soldo. Lo farò per le obbligazioni ch’io ho colla buona memoria del suo signor padre, che è stato mio buon padrone, e dal quale rico-