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224 | ATTO PRIMO |
Don Marzio. Io sono amico del signor Eugenio, so tutti i fatti suoi, e sa che non parlo con nessuno. Gli ho prestati anche dieci zecchini sopra un paio d’orecchini, non è egli vero? e non l’ho detto a nessuno.
Eugenio. Si poteva anche risparmiare il dirlo adesso.
Don Marzio. Eh, qui con messer Pandolfo si può parlare con libertà. Avete perso sulla parola? Avete bisogno di nulla? Son qui.
Eugenio. Per dirgliela, ho perso sulla parola trenta zecchini.
Don Marzio. Trenta zecchini, e dieci che ve ne ho dati, sono quaranta; gli orecchini non possono valer tanto.
Ridolfo. Trenta zecchini glieli troverò io.
Don Marzio. Bravo; trovategliene quaranta; mi darete i miei dieci, e vi darò i suoi orecchini.
Eugenio. (Maladetto sia, quando mi sono impicciato con costui!) (da se)
Don Marzio. Perchè non prendete il danaro che vi offerisce il signor Pandolfo? (ad Eugenio)
Eugenio. Perchè vuole un zecchino alla settimana.
Ridolfo. Io per me non voglio niente; è l’amico che fa il servizio, che vuol così.
Eugenio. Fate una cosa: parlate col signor Conte, ditegli che mi dia tempo ventiquattr’ore; son galantuomo, lo pagherò.
Ridolfo. Ho paura ch’egli abbia da andar via, e che voglia il danaro subito.
Eugenio. Se potessi vendere una pezza o due di quei panni, mi spiccerei.
Ridolfo. Vuole che veda io di ritrovare il compratore?
Eugenio. Sì, caro amico, fatemi il piacere, che vi pagherò la vostra senseria.
Ridolfo. Lasci ch’io dica una parola al signor Conte, e vado subito. (entra nella bottega del giuoco)
Don Marzio. Avete perso molto? (ad Eugenio)
Eugenio. Cento zecchini che aveva riscossi ieri, e poi trenta sulla parola.