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216 | ATTO PRIMO |
Pandolfo. Per me, che perda anche la camicia; non ci penso. (s incammina verso la sua bottega)
Ridolfo. Amico, il caffè ho da notarlo?
Pandolfo. Niente, lo giuocheremo a primiera.
Ridolfo. Io non son gonzo, amico.
Pandolfo. Via, che serve? Sapete pure che i miei avventori si servono alla vostra bottega. Mi maraviglio che attendiate a queste piccole cose. (s’incammina)
(Tornano a chiamare.)
Pandolfo. Eccomi1! (entra nel giuoco)
Ridolfo. Bel mestiere! Vivere sulle disgrazie, sulla rovina della gioventù! Per me, non vi sarà mai pericolo che tenga giuoco. Si principia con i giuochetti, e poi si termina colla bassetta. No, no, caffè, caffè; giacchè col caffè si guadagna il cinquanta per cento, che cosa vogliamo cercar di più?
SCENA III.
Don Marzio e Ridolfo.
Ridolfo. (Ecco qui quel che non tace mai, e che sempre vuole aver ragione). (da sè)
Don Marzio. Caffè.
Ridolfo. Subito, sarà servita.
Don Marzio. Che vi è di nuovo, Ridolfo?
Ridolfo. Non saprei, signore.
Don Marzio. Non si è ancora veduto nessuno a questa vostra bottega?
Ridolfo. E per anco buon’ora.
Don Marzio. Buon’ora? Sono sedici ore sonate2.
Ridolfo. Oh illustrissimo no, non sono ancora quattordici.
Don Marzio. Eh via, buffone.
Ridolfo. Le assicuro io che le quattordici non son sonate.
Don Marzio. Eh via, asino.