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LA BOTTEGA DEL CAFFÈ | 215 |
Ridolfo. Poveraccio! Sta fresco davvero!1
Pandolfo. Che importa? A me basta che scozzino2 delle carte assai.
Ridolfo. Non terrei giuoco, se credessi di farmi ricco.
Pandolfo. No? Per qual ragione?
Ridolfo. Mi pare che un galantuomo non debba soffrire di vedere assassinar la gente.
Pandolfo. Eh, amico, se sarete così delicato di pelle, farete pochi quattrini.
Ridolfo. Non me ne importa niente. Finora sono stato a servire, e ho fatto il mio debito onoratamente. Mi sono avanzato quattro soldi, e coll’aiuto del mio padrone di allora, ch’era il padre, come sapete, del signor Eugenio, ho aperta questa bottega, e con questa voglio vivere onoratamente, e non voglio far torto alla mia professione3.
Pandolfo. Oh, anche nella vostra professione vi sono de’ bei capi d’opera!
Ridolfo. Ve ne sono in tutte le professioni. Ma da quelli non vanno le persone ragguardevoli, che vengono alla mia bottega.
Pandolfo. Avete anche voi gli stanzini segreti.
Ridolfo. È vero; ma non si chiude la porta.
Pandolfo. Il caffè non potete negarlo a nessuno.
Ridolfo. Le chicchere non si macchiano.
Pandolfo. Eh via! Si serra un occhio.
Ridolfo. Non si serra niente; in questa bottega non vien che4 gente onorata.
Pandolfo. Sì, sì; siete principiante.
Ridolfo. Che vorreste dire?
(Gente dalla bottega del giuoco chiama.) Carte.
Pandolfo. La servo. (verso la sua bottega)
Ridolfo. Per carità, levate dal tavolino quel povero signor Eugenio.
- ↑ Segue nelle edd. Bett. e Pap.: «Pand. Glieli lascia, che fa la bella voglia. Rid. E voi di queste cose godete?»
- ↑ Bett.: Cosa mi preme? a me basta che smozzino ecc.
- ↑ Segue nell’ed. Bett.: esercitata da tanti galantuomini i quali, in grazia della loro onestà, vengono ammessi alla confidenza dei soggetti più riguardevoli.
- ↑ Bett. e Pap.: non vien altro.