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214 | ATTO PRIMO |
Ridolfo. Compatite, amico, io non ho da entrare nei vostri interessi, ma non istà bene che il padrone della bottega giuochi, perchè se perde, si fa burlare, e se guadagna, fa sospettare.
Ridolfo. A me basta che non mi burlino; del resto poi, che sospettino quanto vogliono, non ci penso.
Ridolfo. Caro amico, siamo vicini, e non vorrei che vi accadessero delle disgrazie. Sapete che per il vostro giuoco siete stato dell’altre volte in cattura.
Ridolfo. Mi contento di poco. Ho buscati due zecchini, e non ho voluto altro.
Ridolfo. Bravo, pelar la quaglia senza farla gridare. A chi gli avete vinti?
Ridolfo. Ad un garzone d’un orefice.
Ridolfo. Male, malissimo; così si dà mano ai giovani, perchè rubino ai loro padroni.
Ridolfo. Eh! non mi venite1 a moralizzare. Chi è gonzo, stia a casa sua. Io tengo giuoco per chi vuol giuocare.
Ridolfo. Tener giuoco stimo il meno; ma voi siete preso di mira per giuocator di vantaggio, e in questa sorta di cose si fa presto a precipitare.
Ridolfo. Io bricconate non ne fo. So giuocare; son fortunato, e per questo vinco2.
Ridolfo. Bravo, tirate innanzi così. Il signor Eugenio ha giuocato questa notte?
Ridolfo. Giuoca anche adesso. Non ha cenato, non ha dormito, e ha perso tutti i denari.
Ridolfo. (Povero giovine!) (da sè) Quanto avrà perduto?
Ridolfo. Cento zecchini in contanti; e ora perde sulla parola.
Ridolfo. Con chi giuoca?
Ridolfo. Col signor Conte.
Ridolfo. Con quello sì fatto?
Ridolfo. Appunto con quello.
Ridolfo. E con chi altri?
Ridolfo. Essi due soli: a testa a testa.