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186 | ATTO TERZO |
Quello che dalle leggi è proibito, non si può col denaro ottenere; quello che si può ottenere col denaro, non si deve credere direttamente opposto alla legge. Onde, se mi fu esibito a contanti l’onor della vostra conversazione, son compatibile, se ho creduto aver anch’io il diritto di potervi aspirare. Parlo senza arcani, mi levo la maschera, e a chi duole, suo danno. La contessa Beatrice con cento doppie mi ha venduta la sua mediazione, e a questo prezzo mi ha assicurato l’accesso alla conversazione delle dame. O ella mi ha ingannato, o voi le avete fatta un’ingiuria. Nel primo caso siate voi stesse giudici della mia ragione; nel secondo, pensi la contessa Beatrice a risentirsi con voi, e giustificarsi con me. Io nulla voglio1, nè da lei, nè da voi. Bastami avervi fatto noto, che non sono nè pazza, nè debole, nè presontuosa. Il carrozzino mi aspetta, mi sollecita mio consorte, torno alla patria, e porterò colà la memoria delle vostre grazie e della mia disavventura2; anzi, in ricompensa della bontà che ora avete dimostrata per me, permettetemi che vi avvertisca, che più di quello avesse potuto pregiudicare al decoro vostro la mia bassezza, deturpa il vostro carattere e la vostra società una dama ingannatrice e venale.
(parte)
SCENA XIII3.
I suddetti, fuori di Donna Rosaura che è partita.
Beatrice. A me questo?4
Eleonora. Fermatevi, contessa Beatrice, non inveite contro di essa, senza prima giustificarvi. Avete voi avuto le cento doppie?
Beatrice. Le cento doppie le ho vinte per una scommessa.
Eleonora. E che cosa avete scommesso?
Beatrice. Cadde la scommessa sull’ora del mezzogiorno.
Eleonora. Eh, che non si scommettono cento doppie per queste freddure! Se le aveste perse, come le avreste pagate?
Beatrice. Se nol credete, chiedetelo al conte Lelio. (