Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1909, IV.djvu/190

182 ATTO TERZO

Eleonora. Ma di tutto è causa la contessa Beatrice.

Clarice. Veramente la contessa Beatrice si è portata malissimo.

Eleonora. Qualche gran cosa l’ha messa in quest’impegno.

Clarice. Una raccomandazione di un gran ministro.

Eleonora. Per veder d’impiegar1 suo marito.

Clarice. Vedrete che quanto prima avrà qualche carica.

Eleonora. Dopo che ha mangiato tutto il suo, anderà a mangiare quello degli altri.

Ottavio. Signore mie, questa è mormorazione.

Eleonora. Oh, il signor precettore!

Clarice. Il signor morale!

Ottavio. Non parlo più.

SCENA X.

Il conte Lelio e detti.

Eleonora. Oh signor protettore, che fa la sua castellana?

Lelio. Non mi parlate più di colei.

Clarice. Che vuol dire? Sì è disgustato?

Lelio. Spiacendomi d’averla veduta partire in quella maniera dalla festa di ballo, sono andato a casa per ritrovarla, e mi ha fatto dire che non vi era e non mi ha voluto ricevere.

Clarice. Vostro danno.

Eleonora. Imparate a servire delle mercantesse.

Ottavio. Si sarà vergognata, e per questo non vi avrà ricevuto, non già con intenzione d’offendervi.

Eleonora. Mi volevo maravigliare, che il signor Conte non la difendesse. (verso Ottavio)

Ottavio. Non parlo più.

Lelio. Mai più m’impaccio con questa sorta di gente.

Eleonora. Contino, giacchè non vi è la contessa Beatrice, dite, vi dava qualche poco nel genio, non è così?

Lelio. Se vi ho da confessare la verità, non mi dispiaceva.

  1. Bett.: d’impegnar.