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110 ATTO PRIMO

Rosaura. Non voglio sentire le seccature di questo vecchio. Vado nella mia camera: se viene il conte Lelio, mandatelo da me.

Florindo. Sarete servita.

Rosaura. Se questa dama ci favorisce, bisognerà trattarla.

Florindo. Siamo forestieri, probabilmente sarà ella la prima a trattarci.

Rosaura. Basta; purchè si spunti, si ha da spendere senza riguardo. (parte)

SCENA III.

Don Florindo, poi Pantalone.

Florindo. Bel negozio che ho fatto a prendere questa signora sposa! Ella mi ha dato una ricca dote, ma credo che al terminar dell’anno sarà finita.

Pantalone. Sior don Florindo, mio patron reverito.

Florindo. Buon giorno, il mio caro signor Pantalone.

Pantalone. Son vegnù a reverirla, e in tel medesimo1 tempo a dirghe che ho recevesto la lettera d’avviso per pagarghe i mille zecchini a tenor della lettera de cambio, che gieri lu m’ha fatto presentar.

Florindo. Non v’era bisogno che per questo v’incomodaste; mentre ieri, anche prima della lettera d’avviso, avete con bontà accettata la mia cambiale2.

Pantalone. Gh’ho tanta stima per la so degna persona, gh’ho tanto credito alla so ditta, che anca senza lettera de cambio l’averia servida, se la s’avesse degnà de comandarme3.

Florindo. Vi sono molto tenuto per la bontà che mi dimostrate.

Pantalone. La sarave bella! Semo stai tanto amici col sior Anselmo so barba4, che gierimo, se pol dir, fradei. Quello el giera un omo! Quello ha fatto i bezzi! Con mille ducati, che gh’ha dà so pare, in manco de dies’anni l’ha fatto un capital de cinquantamille.

  1. Bett.: medemo.
  2. Mancano nell’ed. Bettin. queste parole.
  3. V. nota prec.
  4. Suo zio.