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dono le orecchiue alla grazia, e induriscono il cuore sotto il peso della ingannevole educazione; ma più miseri quelli ancora, che prevaricatori si chiamano del Vangelo, ribelli della Cattolica Religione, i quali vendendo, a similitudine di Esaù, per poche lenti la Primogenitura Celeste, calpestano il più bel dono della imperscrutabile predilezione Divina. Voi lo conoscete questo bel dono, e colle azioni vostre e con i vostri ragionamenti date altrui a conoscere aver radicata nel petto la vera Fede. Non si sentono a Voi cadere dal labbro certi arguti concetti, che feriscono la Religione nel cuore. Pare a’ dì nostri che Uomo non sia di lettere colui che di certi oltramontani libri non sa far pompa; colui che non sa porre in ridicolo il Dogma, le Tradizioni e fino le sacre Carte medesime, spargendo massime false, anche contro il proprio suo cuore; detestate internamente nell’animo, ma lanciate con imprudenza, o per acquistare la grazia di un personaggio, o per far ridere la brigata. Si può rinunziare per meno ad una sì grande felicità?

Dietro a cotesta inestimabile ed eterna, pongo io quella immediatamente di sortire dalla natura un corpo bene organizzato, una macchina ben disposta, in cui l’armonia delle parti e l’equilibrio degli umori formino un perfetto temperamento. Non vi ha dubbio che l’anima non sia d’un istessa natura, di una bellezza e perfezione medesima in tutti gli Uomini, onde la diversità degli abiti, delle inclinazioni e delle passioni procede dalla costruzione di questa macchina; la quale fa piegar l’anima ove, per così dire, le ruote interne la spingono. Vero è che la ragione fu data all’Uomo da Dio, a distinzione di tutte le create cose, per reggere e illuminare quest’anima; ma non è da desiderarsi che la Ragione abbia da usar violenza agl’impeti della natura, e beati coloro i quali si conducono per forza d’inclinazione a operar bene, senza la guerra delle passioni nemiche; e l’Anima e la Ragione sedendo unite, e comandando nel cuor dell’Uomo, danno esse il moto alle membra, ai sensi, alla volontà, ai pensieri; nè schiave, nè tiranne del corpo, ma di lui compagne, regolatrici ed amiche.

Per questa parte, Veneratissimo Sig. Cavaliere, chi può