Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1908, III.djvu/90

82 ATTO TERZO

Rosaura. Io non mi affaccio alle finestre. La modesria non me lo permette.

Eleonora. Senza tanti riguardi guarderò io.

Rosaura. Povero giovane! Star così riserrato! Patirà.

Eleonora. Sapete chi è?

Rosaura. Chi mai?

Eleonora. Il signor Florindo.

Rosaura. Gli avete aperto?

Eleonora. Mi credereste ben pazza. Io non apro a nessuno, quando non vi è nostro padre.

Rosaura. L’avete mandato via?

Eleonora. Non gli ho detto cosa alcuna.

Rosaura. Domanderà nostro padre. Facciamolo entrare.

Eleonora. Nostro padre non C’è.

Rosaura. Lo aspetterà.

Eleonora. E intanto dovrebbe star qui con noi.

Rosaura. Oh! facciamo una cosa da giovani savie e prudenti, ritiriamoci nelle nostre camere, e lasciamo che il signor Florindo possa parlare con suo fratello.

Eleonora. Questo sarà il minor male, andiamo. (parte)

Rosaura. La compagnia di mia sorella, disturba i miei disegni. Tornerò a miglior tempo. (parte)

SCENA V.

Florindo, poi Rosaura.

Florindo. Come! La signora Rosaura mi apre la porta, mi fa salire, e poi fugge e non vuol meco parlare? Che vuol dir questo? Avrà forse soggezione della sorella, avrà paura del padre, o vorrà farmi un poco penare per vendermi caro il di lei amore. Ora che ho perduti cinquanta scudi al giuoco, ho bisogno di divertirmi. Mi son pur pazzo io a perdere il mio tempo dietro a questa ragazza scipita! Quant’era meglio che io concludessi con Fiammetta, la quale senz’altri complimenti era disposta a fare a mio modo! Basta, se la signora Rosaura