Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
64 | ATTO SECONDO |
Beatrice. Sì, sì, anderò via, anderò via.
Pancrazio. A buon viaggio.
Beatrice. Andiamo, Florindo. (s’alza)
Pancrazio. Voi andate dove volete: ma egli ha da restar qua.
Beatrice. Vieni, vieni, ti manderò a comprare una pollastra, e mangerai la groppa.
Pancrazio. Se tu ti muovi, l’avrai a far meco. (a Florindo)
Beatrice. Se lo toccate, povero voi. Mi farete fare delle bestialità. (Meglio è che io vada, per non precipitare. Lelio è causa di tutto e Lelio me la pagherà). (da sè, e parte Florindo). Caro signor padre, io non ne ho colpa.
Pancrazio. Eh, eh! Signore, la discorreremo.
SCENA XVL
Trastullo e detti, poi Tiburzio.
Trastullo. Signor padrone, c’è il signor Tiburzio che le vorrebbe parlare.
Pancrazio. Ditegli che siamo a tavola, ma che se vuol venire, è padrone.
Trastullo. (Introduce Tiburzio, e parte.)
Tiburzio. Perdonatemi, signor Pancrazio, se credeva che foste a tavola, non veniva.
Pancrazio. Eh via, siete il padrone. Portate una sedia.
Tiburzio. Per dirvela, ho fretta; se ora non potete favorirmi, piuttosto tornerò.
Pancrazio. Signor no, non voglio darvi questo incomodo. Quanto è il mio debito?
Tiburzio. Quattrocento scudi. Ecco il conto.
Pancrazio. Va bene, quattrocento scudi; l’ho riscontrato ancora io. Lelio, va in camera, e prendi quel sacchetto de’ trecento scudi, e portalo qui. Ecco la chiave.
Lelio. Vado subito.
Tiburzio. Mi dispiace il suo incomodo. (a Lelio)
Lelio. (Per dirla, è un poco di seccatura). (da sè, e parte)