Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
592 | ATTO TERZO |
Ottavio. Quanto dovremo noi differirle?
Rosaura. Attenderemo de’ nuovi ostacoli?
Pancrazio1. Via, quando è fatta, è fatta: datevi la mano.
Ottavio. Che dite, signora Rosaura?
Rosaura. Disponete di me.
Ottavio. Eccovi la mia destra.
Rosaura. Ed eccovi ancor la mia.
Ottavio. Cara, adorata Rosaura.
Dottore. E così! È finita? Abbiamo altro che fare? Possiamo andarcene? (Non vedo l’ora di portare a casa il denaro). (da sè)
Notaro. Tutto è compito, se lor signori accordano quanto ho scritto, e lo confermano col giuramento, toccando in mano mia le scritture (presenta a tutti le scritture; e giurano, toccando le medesime) Sono liberati dall’incomodo. Pancrazio2. Signor notaro, ella metta l’instrumento nel protocollo, me ne faccia la copia, e sarà soddisfatto.
Notaro. Domani sarò a riverirla. Servo di lor signori.
Arlecchino. Servo suo, sior Nodaro quondam.
Notaro. Quondam che?
Arlecchino. Quondam magnone. (parte)
Notaro. E tu quondam asino. (parte)
Florindo. Noi ce ne possiamo andare.
Dottore. (Datemi quelle tre lettere). (piano a Florindo)
Florindo. (Eccole). (le dà al Dottore)
Dottore. (Voglio un po’ divertirmi). (da sè) Andiamo a casa, nipote, con i denari. Trastullo li porterà.
Florindo. Signori, vi sono schiavo. I diecimila ducati son nostri. Auguro agli sposi buona fortuna, ed al signor Pancrazio costanza e sofferenza nelle disgrazie. (parte)
Trastullo 3. (Poveretto! Non sa niente. Non sa che questa volta la vipera si è rivoltata al ciarlatano). (da sè, parte coi danari)