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584 | ATTO TERZO |
Lelio. Se siete un uomo d’onore, prima di partire di questa casa dovete rendere la riputazione alla signora Rosaura.
Florindo. Sì, lo farò. Per un atto di giustizia verso quell’onorata figlia, e per un atto di gratitudine alla vostra bontà.
Lelio. E rinunzierete alle pretensioni che avete sopra di lei?
Florindo. Oh, questo poi no. Rosaura deve esser mia.
Lelio. Ditemi, che cosa vi stimola? Che cosa vi spinge1? Rosaura, o la sua dote?
Florindo. Rosaura merita essere amata, e la sua dote non è cosa da disprezzarsi.
Lelio. Circa a questo, io sono indifferente. Il mio impegno restringesi solamente a fare che risarciate il suo onore.2
SCENA XI.
Ottavio e detti.
Ottavio. Qui Florindo?...
Lelio. Venite, signor cognato, e dalla voce istessa del signor Florindo rileverete non essere vero, quanto si è della signora Rosaura creduto.
Ottavio. Voi non foste nelle sue camere la scorsa notte? (a Florindo)
Florindo. Vi fui.
Ottavio. Dunque...
Florindo. Vi fui, ma senza sua colpa.
Ottavio. Perchè introdurvi?
Florindo. Per comodo di favellare con essolei3.
Ottavio. Con qual lusinga?
Florindo. Con quell’istessa che voi nutrite nel cuore.
Ottavio. Commetteste un’indegna azione.
Florindo. Se non siete soddisfatto, sono in grado d’attendervi ad un secondo cimento.
Lelio. Oh via, basta così. Non si parli più del passato. Il sangue sparso dal signor Florindo basta a risarcire l’offesa.