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578 | ATTO TERZO |
Beatrice. Divertitevi a vostro piacere; basta che qualche volta vi ricordiate di me.
Lelio. Ma lo dite veramente di cuore?
Beatrice. Lo dico sinceramente.
Lelio. Come avete fatto a far sì gran1 mutazione?
Beatrice. Caro marito, mi sono illuminata.
Lelio. Lode al cielo; tenete, questa è la chiave delle vostre gioje, e questo è un anello di più che vi dono; ma avvertite, mai più gelosia.
Beatrice. No certo.
Lelio. Mai più sospetti.
Beatrice. No sicuro.
Lelio. Mai più seccature.
Beatrice. No assolutamente.
Lelio.2 Imparino i mariti, come si fa a castigar le mogli. Il bastone è cosa da gente villana, e le rende anzi più ostinate che mai; ma il toccarle nell’ambizione è una medicina che opera a tempo e guarisce infallibilmente. (parie)
Beatrice. Se ogni volta che mi pacifico con mio marito, mi donasse egli un anello, vorrei farlo andare in collera almeno una volta il giorno. (parte)
SCENA VII.
Florindo, poi Ottavio.
Florindo. Grand’azzardo è stato il mio! Mi pento quasi della temeraria insistenza...
Ottavio. Ponete mano alla spada. (col ferro in mano)
Florindo. Che pretendete?
Ottavio. Punire la vostra temerità.
Florindo. Non vi riuscirà sì facilmente, (mette mano e si battono) Ohimè, son ferito.
Ottavio. Il vostro sangue pagherà l’offesa che alla mia casa faceste.
Florindo. (S’appoggia ad un sedile presso la casa di Pancrazio.)