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L'EREDE FORTUNATA | 573 |
Fiammetta. Io vado per un affare della padrona.
Arlecchino. E mi andava cercando de vussioria.
Ottavio. Che vuoi da me?1
Fiammetta. (Fa cenno ad Arlecchino che taccia.)
Arlecchino. Gnente... (mostrando aver soggezione di Fiammetta)
Ottavio. Parla, di’, che cosa vuoi?
Arlecchino. Aveva da dirghe un non so che... ma no ghe digo altro.
Fiammetta. (Oh che bestia!) (da sè)
Ottavio. Voglio che tu mi dica ciò che dir mi dovevi; altrimenti ti bastonerò.
Fiammetta. (Fa cenno ad Arlecchino che taccia.)
Ottavio. (Se n’accorge) Come! Tu gli fai cenno che taccia? (a Fiammetta)
Fiammetta. Io no, signore.
Ottavio. Presto, parla. (alzando il bastone)
Arlecchino. Dirò2... la sappia...
Fiammetta. (Fa i soliti cenni.)
Ottavio. Fraschetta, me ne son occorto. (a Fiammetta) Parla. (ad Arlecchino)
Arlecchino. La sappia, sior, che el sior Florindo...
Fiammetta. O via, che gran cosa! Il signor Florindo vorrebbe per moglie la signora Rosaura.
Ottavio. Non altro?
Arlecchino. Gh’è qualcoss’altro.
Ottavio. Dimmelo tosto.
Fiammetta. Che tu sia maledetto! (minacciando Arlecchino di soppiatto)
Ottavio. O narrami tutto, o ti rompo l’ossa di bastonate. (ad Arlecchino)
Arlecchino. A ste maniere obbliganti chi pol resister, resista. Sior Florindo e siora Rosaura i era in camera a scuro...
Fiammetta. Non è vero niente.
Ottavio. Taci. (a Fiammetta) E che facevano? (ad Arlecchino)