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L'EREDE FORTUNATA 555

Pancrazio. Oh presto, presto; ma quando si faranno, V. S. sarà avvisata. Spero che favorirà di onorarmi di venire a bere un sorbetto. (con ironia)

Dottore. Sì signore, riceverò le sue grazie, e V. S. favorirà venir da me a bere un bicchier di vino, quando anderò al possesso dell’eredità di Petronio.

Pancrazio. Ho paura che quel vino voglia diventare aceto.

Dottore. Ed io temo che quel sorbetto non si voglia gelare.

Pancrazio. Se non avete altro da mangiare, volete digiunare per un pezzo.

Dottore. Oh bello il signor sposo! Siete vecchio: senectus ipsa est morbus.

Pancrazio. Io per isposar Rosaura son troppo vecchio; ma voi per disputar meco siete ancor troppo giovane.

Dottore. Volete una sposa da par vostro? Sposate la morte.

Pancrazio. Volete un’eredità secondo il vostro merito? Raccomandatevi alle vostre cabale.

Dottore. Io sono un avvocato che vi farà tremare.

Pancrazio. Siete un uomo che fa paura? Potete andare in campagna a far paura agli uccelli.

Dottore. Voi siete una figura da gira arrosto.

Pancrazio. Signor Dottore, buon dì a vossignoria; ella mi perdoni, ho burlato.

Dottore. Se lei ha burlato, a me non me ne importa nulla. (con caricatura)

Pancrazio. Oh, che dottore senza giudizio!

Dottore. Oh, che vecchio ignorante! Domani la discorreremo.

Pancrazio. Signor sì, domani, e quando ella vuole.

Dottore. Vi farò vedere chi sono.

Pancrazio. Tenete. (gli fa uno sgarbo, in atto di disprezzo)

Dottore. Rustica progenies nescit habere modum. (parte)

Pancrazio. Mi dispiace, che non intendo; che gli vorrei rispondere per le rime. Dottore sguaiato... Ma si fa notte: voglio andare in casa per ultimare l’affare con il mio figliuolo. Assolutamente voglio far questo matrimonio, e poi che cosa sarà?