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550 | ATTO SECONDO |
Pancrazio. E che ancor tu le porti un grande affetto.
Ottavio. È quasi impossibile.
Pancrazio. Senti, Ottavio: tuo padre ti stima, ti ama, e fa conto di te assai più di quello che pensi. Dovrei ben io lamentarmi del mio figlio, che si poco affidandosi del mio affetto, non mi confida i segreti del suo cuore; ma condono il tutto all’azione eroica che avevi disposto di fare. Ottavio, figliuol mio, consolati: Rosaura sarà tua sposa.
Ottavio. (Che colpo maspettato è mai questo!) (da sè) Come! La signora Rosaura mia moglie? Ed ella acconsente?
Pancrazio. Non vede l’ora.
Ottavio. E voi la rinunziate?
Pancrazio. Che cosa non farei io per te? Rinunzierei anche la vita.
Ottavio. E la sua eredità?
Pancrazio. A lei non le importa. Ed io, quando si tratta di contentarti, non ci penso. Val più la tua vita, che cento eredità. Rosaura stima più le tue nozze, che qualsivoglia ricchezza.
Ottavio. Che voi mi cediate una bella sposa e una ricca dote, è un eccesso d’amor paterno; che ella ricusi uno stato comodo, una eredità doviziosa, è un eccesso d’amor fedele; ma se io accettassi offerte sì generose, commetterei un eccesso d’ingratitudine. Conosco il mio dovere, non vaglio io a ricompensare le vostre perdite. Rosaura secondi il suo destino, voi abbracciate la vostra sorte; e in quanto a me, lasciatemi la bella gloria d’aver saputo vincere la mia passione.
Pancrazio. No, Ottavio, son risoluto. Rosaura sarà tua moglie.
Ottavio. E voi potete dirlo? Voi che sapete meglio d’ogni altro quali sieno le condizioni impostele da suo padre?
Pancrazio. Dimmi un poco: a Rosaura vuoi tu bene?
Ottavio. L’amo quanto me stesso.
Pancrazio. Dunque Rosaura sarà tua moglie. (parte)
Ottavio. Volesse il cielo che ella fosse mia, senza il pericolo di sentir un giorno i suoi rimproveri, senza il rimorso di vederla per me dolente! Ma ciò è impossibile, non posso di ciò lusingarmi. Rosaura non può esser mia. E se ella è disposta a