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540 | ATTO PRIMO |
Fiammetta. La riverisco. (entra in casa)
Arlecchino. Cugnà, andemo; te son obbligado. Va là, che ti è un omo de garbo. (parte)
Trastullo. Adesso che sei maritato, tu stai bene. (parte)
SCENA XVI.
Camera di Rosaura.
Rosaura a sedere.
Ah, che per me non vi è più rimedio. Il giorno si va avanzando, ed io deggio determinarmi ad un qualche partito. Ottavio è risoluto d’abbandonarmi, e sia la sua o incostanza, o virtù, persiste nel ricusar le mie nozze. Se mi sposo a Pancrazio, perdo per sempre la speranza di conseguirlo; se mi dichiaro di volerlo, rimango miserabile, e Ottavio non vorrà precipitare la sua casa. Dunque, che deggio fare? Ah padre incauto e crudele! Mi lasciasti ricca, con una condizione che mi rende la più miserabile della terra. Ohimè, il dolore, l’affanno... la disperazione... mi sento morire... (sviene e quasi precipita dalla sedia)
SCENA XVII.
Lelio e detta.
Lelio. Saldi, signora Rosaura. (la trattiene che non cada)
Rosaura. Ohimè!
Lelio. Rimettetevi; che cos’è stato?
Rosaura. Signor Lelio, lasciatemi, per pietà.
SCENA XVIII.
Beatrice che osserva, e detti.
Lelio. Tolga il cielo che io vi lasci in braccio alla disperazione.
Rosaura. Almeno non palesate a veruno questa mia debolezza.
Lelio. Non temete, sarò segreto.