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536 | ATTO PRIMO |
lo metterà in rovina con i rigiri1 forensi; ed io, quand’altro non riesca, con un colpo gli leverò l’eredità, la sposa e la vita.
Trastullo. Mi perdoni, questi rimedi son troppo violenti; potrebbero2 precipitare non solo il signor Pancrazio, ma nell’istesso tempo vossignoria ancora. Finalmente il povero galantuomo ha procurato il suo interesse...
Florindo. Come? Tu difendi Pancrazio? Ancora hai della passione per questo tuo antico padrone? Se così è, vattene dal mio servizio.
Trastullo. Io non ho veruna passione per il signor Pancrazio, parlo per vossignoria, che non vorrei vederla precipitare e senza frutto. Che cosa le gioverebbe il far di tutto per conseguire la signora Rosaura, quando poi ella non acconsentisse ad esser sua consorte?
Florindo. Perchè ha da ricusarmi? Ho io difetti tali che meritino una ripulsa?
Trastullo. Non dico questo, ma ella sa che cosa sono le donne capricciose e bizzarre. Vedendo che per averla vossignoria usa delle violenze, si potrebbe ostinare e dire non lo voglio.
Florindo. Dunque che mi consigli di fare?
Trastullo. Io direi che ella procurasse di parlare con la signora Rosaura, assicurarsi del suo affetto, e poi penseremo al rimanente.
Florindo. Non mi dispiace; se le parlo, son sicuro di persuaderla. Le porrò in vista il ridicoloso matrimonio che ella è per fare con quel vecchio di Pancrazio; le proporrò un più felice imeneo, e spero tirarla dal mio partito.
Trastullo. Così va bene. Questo si chiama operare con giudizio.
Florindo. Ora pensar conviene al modo di poterle parlare.
Trastullo. Bisognerà aspettare qualche congiuntura.
Florindo. Non vi è tempo da perdere. Se non le parlo stanotte, è inutile che più ci pensi.
Trastullo. Stanotte? Come vuole ella fare?
Florindo. Tu sei pratico della casa, tu sei amico d’Arlecchino.