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L'EREDE FORTUNATA 533


intanto il cielo ci aprirà forse qualche strada per migliorare la nostra sorte.

Rosaura. Oh Dio! A che mai mi obbligate? Quando mi credeva dovervi stringere al seno, mi veggo m pericolo di dovervi perdere. Oh dolor, che mi uccide! Oh pena, che mi tormenta! (piange)

SCENA XI1.

Pancrazio e detti.

Pancrazio. Che c’è, figlio mio, che fai tu qua?

Ottavio. Stava consolando la signora Rosaura, che piange amaramente la morte del suo genitore.

Pancrazio. Ma tu la puoi consolar poco, poichè sei più malinconico di lei.

Ottavio. È più facile consolare altrui, che se stesso.

Pancrazio. (Dimmi, sa ella niente del testamento?) (in disparte)

Ottavio. (Sa tutto, lo l’ho avvisata).

Pancrazio. (Sa che io ho da esser suo marito?)

Ottavio. (Anco questo gliel’ho detto).

Pancrazio. (Come l’intend’ella?)

Ottavio. (Si è mostrata rassegnatissima).

Pancrazio. (Dic’ella forse ch’io sia troppo vecchio?)

Ottavio. (Non l’ho sentita dolersi di ciò).

Pancrazio. (Sai tu che abbia nessuno amoretto?)

Ottavio. (Io non so i fatti suoi; signor padre, vi riverisco), (parte)

Pancrazio. (Oh poveretto! La luna è veramente nel suo pieno. Oh, adesso bisogna che studi ogni arte per persuadere questa ragazza a non dire di no). (da sè)

Rosaura. (Oh Dio! in qual cimento mi trovo!) (piange)

Pancrazio. Figlia mia, basta così: non piangete più. Il vostro signor padre, buona memoria, una volta o l’altra aveva da morire. Compatisco il vostro dolore, ma finalmente potete consolarvi che vi ha lasciato tutto, che sarete una donna piuttosto

  1. Vedasi Appendice.