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L'EREDE FORTUNATA 525


sarebbe stato un gran tracollo. Non è tutt’oro quel che luce. Abbiamo un gran credito, abbiamo dei gran capitali, ma abbiamo ancora dei debiti. Così nessuno sa i fatti nostri, si tira avanti il negozio, continua l’istesso nome e si fa l’istessa figura. Ma che hai tu che non parli? Tu guardi il cielo e sospiri? Ti dispiace che tuo padre abbia avuta questa fortuna? Hai forse paura che maritandomi non pensi più a maritare anche te? No, Ottavio, non dubitare; tu sai quanto ti amo; penso a te più che a me medesimo; e se passo alle seconde nozze, lo fo piuttosto per migliorar la tua condizione, che per soddisfar il mio genio. Cercati una ragazza savia, e da par tuo; te la darò volentieri. Se vuoi esser padrone, ti farò padrone. Manderò fuori di casa quel ganimede di Lelio mio genero, e quella matta di mia figlia, gelosa di quel bel fusto. Se anche Rosaura tua matrigna ti darà soggezione, mi ritirerò con essa in campagna e ti lascierò in libertà; che vuoi di più? Tuo padre può far di più per te? Via, figlio mio, via, Ottavio, consolami, fatti vedere allegro, corrispondi con amore al tuo povero padre, che per te spargerebbe il sangue delle sue vene.

Ottavio. Signor padre, voi mi amate più che non merito. Mi offerite più di quello che a me si conviene. Mi colmate di benefizi, lo conosco, l’intendo, vi son grato, disponete di me a vostro piacere; ma un’interna melanconia mi tiene oppresso talmente che non posso mostrare quell’ilarità che da me pretendete.

Pancrazio. Ma da qual cosa procede mai questa malinconia? Qualche causa vi sarà. So che non sei di temperamento malinconico. Ti ho visto pel passato allegro e gioviale. Sai che tu eri l’unica mia conversazione, e che tanto mi compiaceva delle tue lepidezze; perchè da un momento all’altro ti sei così cambiato?

Ottavio. (Convien trovare un pretesto per acquietarlo). (da sè) Vi dirò, signor padre, la morte del signor Petronio mi ha turbato talmente che non trovo riposo. Considero la brevità della vita, la necessità di morire, l’incertezza del nostro fine, e in un tal pensiere occupo tutto me stesso.