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44 ATTO SECONDO

Ottavio. Ed io mi son giuocato l’orologio, che mi ha donato la vostra signora madre.

Florindo. Ma quel che è peggio, ho perso cinque zecchini sulla parola.

Ottavio. Ed io due.

Florindo. Questi converrà pagarli.

Ottavio. Converrà pagarli, acciocchè non si sappia che abbiamo giuocato.

Florindo. E come si farà?

Ottavio. Bisognerà ingegnarsi.

Florindo. Maledetto giuoco!

Ottavio. Non dite parolacce, non maledite.

Florindo. Che cosa dirà mio padre, se non mi vede la spada?

Ottavio. Lasciate fare a me. Dirò che vi è stata rubata; a me lo crederà più che a voi.

Florindo. Oh! questa per me è stata una cattiva giornata.

Ottavio. Era meglio passar la mattina in casa del signor Geronio.

Florindo. Oh! sì, quella cara signora Eleonora è adorabile. Era tanto che desiderava parlarle. Caro maestro, vi ringrazio che mi abbiate introdotto. Avete fatto assai bene a separare Lelio da noi, a mandarlo a passeggiar da se solo; egli ci avrebbe guastata la nostra conversazione.

Ottavio. Ditemi, la sposereste volentieri la signora Eleonora?

Florindo. Il ciel volesse! Non vedo l’ora di prender moglie.

Ottavio. È ricca, sapete; suo padre non ha altri che quelle due figlie, ed averanno diecimila ducati per una. (Così potess’io avere la signora Rosaura! Basta, chi sa).

Florindo. Dubito che mio padre vorrà ammogliar mio fratello.

Ottavio. Lasciate fare a me, che io procurerò i vostri vantaggi. Ma sentite, anch’io ho bisogno di voi.

Florindo. Comandate, signor maestro. In quel che posso, siete padrone.

Ottavio. Ho persi due zecchini sulla parola; bisogna che mi aiutiate.

Florindo. E come? Se non ne ho nemmeno per me.