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L'AVVOCATO VENEZIANO | 501 |
Alberto. La fede che l’ha avudo in mi, non ostante tutte quelle false apparenze che me voleva far creder reo, xe una mercede che ricompensa ogni mia fatica.
Florindo. Giacchè ricusate questo denaro, fatemi un piacere; ve lo domando per grazia, per finezza; degnatevi di accettare questo piccolo anello, per una memoria della mia gratitudine. Val meno dei cinquanta zecchini, ma poichè volete così, non ricusate il dono, se ricusaste la ricompensa.
Alberto. Orsù, no voggio con un’affettada ostinazion confonder la virtù coll’inciviltà. Accetto l’anello che la me dona, e la varda che bell’uso che ghe ne fazzo; qua, alla so presenza, lo metto in deo alla mia novizza1.
Lelio. Come! È vostra sposa?
Florindo. Rosaura vostra consorte?
Alberto. Sior sì, patron sì. Mia sposa, mia consorte. Ella aveva bisogno d’uno che rimediasse alle so disgrazie, mi aveva bisogno d’una che assicurasse la quiete e el decoro della mia fameggia, e se fazzo el bilanzo del so merito e del mio stato, trovo aver mi vadagnà moltissimo più de ela.
Lelio. Me ne rallegro infinitamente. Faremo le nozze in casa mia, se vi compiacete.
Alberto. Accetto le vostre grazie; e za che el sior Florindo m’ha dà l’anello, se el se degna, lo prego d’esser compare dell’anello2 de mia muggier3.
Florindo. Molto volentieri accetto l’onore che voi mi fate. Signora Rosaura, signora comare, vi chiedo scusa, se vi sono stato nemico; in avvenire vi sarò buon servitore e compare.
Rosaura. Gradisco infinitamente le vostre generose espressioni. Compatisco la cagione che vi rendeva di me avversario, e mi sarà d’onore la vostra cortese amicizia.
Beatrice. Cara la mia sposina, venite qua; lasciate che vi dia un bacio. Mi fate piangere dall’allegrezza. (le dà un bacio)
Lelio. Ma il Conte che dirà?