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L'AVVOCATO VENEZIANO | 499 |
Alberto. Mi, siora Rosaura, mi che conossendo el so merito, la so bontà, i so boni costumi, l’amor che la gh’ha per mi, sarave un ingrato, un barbaro, un senza cuor, se no cercasse de reparar co la mia man i danni che gh’ha cagionà la mia lengua.
Rosaura. Cari danni, dolci pene, perdite fortunate, se mi rendono la più felice, la più fortunata donna di questa tena. Ma, oh Dio! Voi mi lusingate, voi me lo dite per acquietare i tumulti della mia passione.
Alberto. Ghe lo digo de cuor, ghe lo digo de vero amor; e per prova della verità, confermo la mia promessa col zuramento e ghe offerisse la man.
Rosaura. Oh dolcissima mano! Tu non mi fuggirai certamente. Tu sei la mia speranza, il mio refugio, l’unica mia consolazione. Ti stringo, t’adoro, a te mi raccomando: abbi pietà di questa povera sventurata. (lo tiene per mano)
Alberto. Sì, cara, sì, colonna mia...
SCENA IX.
Beatrice con un Servo, che porta un bicchiere d’acqua, e detti.
Beatrice. Bravi, bravissimi. Me ne rallegro infinitamente. Rosaura, vi ho portato un bicchiere d’acqua, ma ora ve ne vorrà una secchia per ammorzare il nuovo calore.
Rosaura. Amica, non so dove io mi sia.
Beatrice. Non lo sapete? Ve lo dirò io. In compagnia di un bel pezzo di giovinetto, che vi farà passare la malinconia della lite.
Alberto. La xe arente un omo d’onor, che coll’amor più illibato del mondo cerca de consolar una povera giovane, piena de virtù e de merito, e circondada da spasemi e da desgrazie.
Beatrice. Siate benedetto. Avete un cuore adorabile. Ehi! dite, la volete sposare?
Alberto. Se ela se degna, la stimerò mia fortuna.
Beatrice. Se si degna? Capperi se si degnerà! (Mi degnerei anch’io).