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472 | ATTO SECONDO |
Lelio. Il signor Alberto ha fatto più profitto sovra il mio spirito con queste quattro parole, che non avrebbero fatto dieci maestri uniti assieme. Più volentieri si ode un amico, di un precettore; e più facilmente s’insinuano le correzioni amorose, di quello facciano le strepitose. Questo è quello che si guadagna a praticar degli uomini dotti; sempre s’impara qualche cosa di buono. (parte)
SCENA XIV1.
Camera della conversazione in casa di Beatrice, con tavolini e candellieri: il tutto in confuso, rimasto così dopo la conversazione della sera innanzi.
Colombina ed Arlecchino.
Colombina. Ecco qui, siamo sempre alle medesime. Da ieri sera in qua non hai fatto nulla. Le sedie, i tavolini, i candellieri, le carte, tutto in confuso.
Arlecchino. A ti, che te piase la pulizia, perchè no t’è vegnù in testa d’accomodar, de nettar, de destrigar e de no vegnirme a seccar?
Colombina. Pezzo d’animalaccio! Ho da far tutto io?
Arlecchino. Mi la mia parte la fazzo in cusina.
Colombina. Via dunque, prendi quei candellieri, e valli a ripulire.
Arlecchino. Ben, mi netterò i candellieri, e ti ri farà el resto.
Colombina. Io raccoglierò le carte, (s’accostano tutti due al tavolino)
Arlecchino. Olà! (alza un candelliere e vi trova sotto li due zecchini, lasciati da Alberto)
Colombina. Che cosa e’ è? (se ne accorge)
Arlecchino. Niente. (Li vuol nascondere)
Colombina. Hai trovati dei denari: sono a metà.
Arlecchino. Chi trova, trova; questa l’è roba mia.
Colombina. Due zecchini? Uno per uno.
Arlecchino. De questi no ti ghe ne magni. L’è roba mia.
Colombina. Non è vero. Le mance e queste cose si spartono fra la servitù.
- ↑ Sc. XIII nelle edd. Bett., Pap. ecc.