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458 | ATTO SECONDO |
Rosaura. Il signor Alberto averà saputo che ci era io, e per questo averà fatto serrar la porta.
Alberto. Per dirghe la verità, me figurava de veder stamattina in sta casa tutte le persone del mondo, fora de ela.
Rosaura. Non crediate già ch’io sia venuta per voi. Son venuta a vedere la signora Flaminia.
Alberto. De questo ghe ne son certo; e me stupisso come la se sia degnada de vegnir in te la mia camera.
Rosaura. Vi son venuta per compiacere la signora Beatrice.
Alberto. In cossa1 la possio servir? (a Beatrice)
Beatrice. Se vi do incomodo, vado via.
Alberto. La vede, gh’ho i summari per man.
Beatrice. Non l’avete ancora studiata questa gran causa?
Alberto. Questo xe el zorno del gran conflitto.
Rosaura. Questo è il giorno in cui il signor Alberto avrà la gloria di vedermi piangere amaramente2.
Beatrice. Poverina! sarebbe una crudeltà troppo barbara. Direi che avete un cuore di tigre. (ad Alberto)
Alberto. Ele venude per tormentarme?
Beatrice. No, no, andiamo subito. Vedo l’accoglimento che voi ci fate. Non ci esibite nemmen da sedere? Non credea che gli uomini virtuosi fossero nemici del viver civile.
Alberto. No pensava che le se volesse trattegnir.
Beatrice. Ho una cosa da dirvi. Ve l’ho da dir così in piedi?
Alberto. La servirò, come la comanda. Chi è de là?
Servitore. Illustrissimo.
Alberto. Tirè avanti una carega3.
Rosaura. Ed io starò in piedi?
Alberto. (No so dove che gh’abbia la testa). (da sè) Tireghene do. (al servitore)
Beatrice. E voi non volete sedere?
Alberto. Tireghene tre, quattro, sie. (alterato al servitore)
Beatrice. No, no, basta tre. Siete molto collerico, signor Alberto.