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456 ATTO SECONDO


SCENA V.

Camera d’Alberto in casa di Lelio, con tavolino e scritture.

Alberto senza spada e senza cappello, passeggiando con un foglio in mano, in modo di studiar la causa; poi un Servitore.

Alberto. Se vede chiara l’intenzion d’Anselmo Aretusi. L’ha fatto la donazion in tempo che no l’avea fioli. Se l’avesse avudo fioli, nol l’avena fatta; donca, per la sopravenienza del maschio, xe nulla la donazion. Mo el padre natural l’ha dada co sta fede al padre adottivo, l’è stada pregiudicada nei beni paterni. Se questo xe l’obbietto, el se risolve con somma facilità...

Servitore. Illustrissimo.

Alberto. Coss’è, amigo?

Servitore. L’illustrissima signora Flaminia, mia padrona, supplica vossignoria illustrissima, se volesse compiacersi di passare nella sua camera, che avrebbe da dirgli una cosa di premura.

Alberto. Cossa fala stamattina la vostra padrona?

Servitore. Sta meglio di molto. Stanotte non ha avuta febbre.

Alberto. Ho gusto da galantomo. Son a servirla; ma diseme, caro vecchio1, gh’è nissun in camera da ela.

Servitore. Illustrissimo sì, vi sono due signore venute a fare una visita alla padrona.

Alberto. Chi ele ste do signore?

Servitore. Una la signora Beatrice e l’altra la signora Rosaura.

Alberto. (Siora Beatrice e siora Rosaura?) (da sè) Sentì, amigo, diseghe alla vostra padrona che la me compatissa, che son drio a studiar la causa e che no posso vegnir.

Servitore. Dirò quel che ella mi comanda.

Alberto. Sior Lelio, vostro patron, ghe xelo?

Servitore. Illustrissimo no, è fuori di casa.

Alberto. (Tanto pezo). (da sè) Diseghe che no la posso servir.

Servitore. Illustrissimo sì.

Alberto. Serrè quella porta.

  1. Caro vecchio, si dice anche ad un giovane per amicizia. [nota originale]