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L'AVVOCATO VENEZIANO | 455 |
Conte. (Con un sì gran sospetto non farà correre la causa. Avrò tempo di maneggiarmi, e l’avvocato se n’anderà). (da sè, parte)
SCENA IV.
Florindo solo. Dunque Alberto m’inganna1? Parla con tanta energia dell’onore, vanta con tanto fasto la illibatezza dell’animo, sostenta 2 con tanta forza la sua sincerità, la sua fede, e poi si lascia così facilmente subornare3, si dà così vilmente ad una cieca passione in preda? Anima vile, cuor bugiardo, labbro mendace... Ma che faccio? Condanno a dirittura il mio difensore col fondamento delle asserzioni d’un suo e mio nemico? Non potrebbe egli tessermi quell’inganno, che mi figura dal mio avvocato tessuto? Certo che sì, e con molto maggior fondamento posso temere il Conte più dell’amico Alberto. Dunque si lasci ogni rio sospetto e si tratti la causa... Ma, oh dio! E se fosse vero che Alberto fosse colla mia avversaria contro di me congiurato? Ieri lo vidi col ritratto sul tavolino. Si turbò, si confuse e addusse dei mendicati pretesti. La sera lo ritrovo alla conversazione fra Rosaura e Beatrice, ed ora il Conte mi fa sospettare e dell’una e dell’altra. Questi sospetti uniti insieme formano quasi una certa prova della reità dell’animo del mio avvocato. Che farò? Che risolvo? Sospenderò la causa. E poi ricominciarla da capo? Orsù, voglio ritrovare l’amico Lelio. Vo’ farli la confidenza... Ma no, Lelio difenderà un avvocato da lui propostomi, e chi sa che Lelio non sia d’accordo: anch’egli è della conversazione. Non so che dire, non so che pensare, non so che risolvere. Quattr’ore mancano ancora al mezzo giorno, e più di otto alla trattazione della causa. Ci penserò seriamente, mi consiglierò con me stesso, e quand’altro non mi rimanga, farò una risoluzione da disperato.