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454 | ATTO SECONDO |
Conte. (Se egli lo crede, non si fiderà che tratti la sua causa). (da sè)
Florindo. Ma come ciò voi sapete?
Conte. Ne sono certissimo. So quel che passa fra loro, e so che la signora Beatrice maneggia questo trattato.
Florindo. Di qual trattato intendete?
Conte. Di far perdere a voi la causa, per guadagnarsi la grazia della signora Rosaura.
Florindo. (Ah scellerato!) (da sè)
Conte. Perchè credete ch’io abbia messo mano alla spada contro di colui? Vi ha dato ad intendere delle fandonie. Nacque la contesa perchè, avendo io scoperto le sue fattucchierie, l’ho trattato1 da ribaldo, da traditore.
Florindo. Ma, caro signor Conte, se Rosaura vince la causa, deve sposar voi; come dunque il signor Alberto ha da impegnarsi di farla vincere, acciò sia sposa d’un altro? Se le vuol bene, ha da desiderare tutto il contrario.
Conte. Eh! amico, voi vedete poco lontano. Intanto gli preme che Rosaura sia ricca, che Rosaura gli sia grata, e poi non gli mancheranno cabale per toglierla a me e farla sua.
Florindo. Voi mi ponete in un laberinto di confusioni, di agitazioni, di smanie. Non so quel ch’io debba credere.
Conte. Dubitate forse di mia puntualità?
Florindo. Non dubito di voi: ma mi pare di fare un gran torto al signor Alberto.
Conte. E voi lasciatelo fare. Ve ne accorgerete, quando non vi sarà più rimedio.
Florindo. Possibile ch’ei mi tradisca?
Conte. Ve l’assicuro2.
Florindo. (E me lo confermano il ritratto, la conversazione e le sue parole). (da sè)
Conte. Che risolvete di fare?
Florindo. Ci penserò.