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L'AVVOCATO VENEZIANO 453


dei Veneziani. Mi che per la mia patria sparzerave el mio sangue, me farave cavar el cuor, no posso tollerar una parola, un accento, che tenda a minorar la so gloria.

Conte. Mi maraviglio di voi: io non ho detto...

Alberto. Basta cussì; la sa cossa che l’ha dito. La sa che ho zurà de no pubblicar quello che la m’ha dito. La tasa e la se consola che l’ha da far con un galantomo, che sa mantegnir la parola e trattar ben anca coi so propri nemici.

Conte. (Il ripiego non è cattivo). (da sè)

Alberto. Sior Florindo, vado a casa a serrarme in mezzà, a raccoglierme seriamente e prepararme per la disputa che doverò far. Se m’avè visto coraggioso colla spada alla man, me vederè intrepido nel tribunal; i omeni d’onor e de valor i ha da esser preparadi e disposti all’uno e all’altro esercizio, per se stessi, per i so amici, per la so patria, che va preferida a ogni impegno, a ogni interesse e alla vita istessa. (parte)

SCENA III.

Florindo ed il Conte.

Florindo. Aspettate, sono con voi...

Conte. Signor Florindo.

Florindo. Che mi comandate?

Conte. Una parola, in grazia.

Florindo. Eccomi, vi prego a non trattenermi.

Conte. Oggi dunque si tratterà questa causa.

Florindo. Oggi senz’altro.

Conte. Amico, il vostro avvocato vi tradisce.

Florindo. Come potete voi dirlo? Alberto è un uomo d’onore.

Conte. Sì, è un uomo d’onore; ma l’amore fa precipitare gli uomini più saggi ed onesti.

Florindo. È innamorato il signor Alberto?

Conte. È innamorato, perduto e pazzo della signora Rosaura.

Florindo. (Ah, ch’io non mi sono ingannato). (da sè)