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452 | ATTO SECONDO |
stimo, non ti temo, e non ho soggezione di te, nè di cento de’ pari tuoi.
Alberto. Cussì ti parli? Via, tocco de temerario. (si battono)
SCENA II.
Florindo con spada alla mano, in difesa d’Alberto, e detti.
Florindo. Alto, alto. (si frappone)
Alberto. Gnente, sior Florindo. Lasseme terminar1.
Conte. (Ah! mi dispiace che sia pubblicato il mio tentativo), (da sè)
Florindo. Signor Alberto, questa giornata è destinata per voi a combattere colla voce e non colla spada.
Alberto. Son bon per l’uno e per l’altro.
Florindo. Si può sapere, signori miei, la cagione delle vostre collere?
Conte. (Se questo colpo m’andò fallito, ne tenterò qualcun altro). (da sè)
Alberto. (Ho zurà de no parlar con chi che sia dell’indegna proposizion che m’ha fatta el Conte. No bisogna romper el zuramento). (da sè)
Florindo. È qualche grande arcano la vostra alterazione? Non si può sapere? Non si può rappresentare a un comune amico? Ciò mi mette, signor Alberto, in un gran sospetto.
Conte. (Ora mi scopre senz’altro). (da sè)
Alberto. (Eccolo qua coi so sospetti; bisogna disingannarlo). (da sè) Sior Florindo, ve dirò mi. Qua el sior Conte m’ha provocà, m’ha tira a cimento, e no m’ho podesto tegnir.
Florindo. Ma con quali termini, con quali ingiurie vi ha provocato?
Conte. Orsù, non ho soggezione di pubblicare io stesso la verità, giacche la debolezza del signor Alberto non sa tacerla. Io ho detto a lui...
Alberto. Zitto, patron, la me lassa parlar a mi. Tocca a mi a giustificarme, e no tocca a ela. Sappiè, sior Florindo, che sto patron ha avudo l’ardir, la temerità de parlar con poco respetto
- ↑ Bett. e Pap. aggiungono: con gloria un duello principia con rason.