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448 ATTO SECONDO

Conte. Avete fatto bene. Voglio parlarvi segretamente.

Alberto. Vorla che andemo al caffè, dove che la m’ha dito giersera?

Conte. No, al caffè vi è sempre qualcheduno. Qui in questa strada remota siamo più sicuri di restar soli.

Alberto. Dove che la vol. (Che el me volesse far una qualche bulada1? Da muso a muso no gh’ho paura). (da sè)

Conte. Sentite... Ma prima mi avete a promettere di non parlare con chi si sia di quello che ora sono per dirvi.

Alberto. La segretezza e la fede xe do circostanze necessarissime ai avvocati, e nualtri se lasseressimo sacrificar, più tosto che svelar un arcano con pregiudizio de chi ne l’ha confidà.

Conte. Ciò non mi basta, giurate di non parlare.

Alberto. I omeni onesti non ha bisogno de zuramenti.

Conte. Gli uomini onesti non ricusano di giurare, quando non hanno intenzion di tradire.

Alberto. Via, per contentarla: zuro de non parlar.

Conte. Datemi la mano.

Alberto. Eccola.

Conte. Oh bravo! Ora brevemente vi spiccio. Credo che voi saprete essere io legato con promessa di matrimonio colla signora Rosaura.

Alberto. Lo so benissimo.

Conte. Dunque comprenderete da ciò, che la di lei causa diventa mia propria, venendomi assegnato in dote il valor della donazione fattale dal di lei padre adottivo, consistente in ventimila ducati.

Alberto. È verissimo; la causa l’interessa infinitamente.

Conte. Io non voglio esaminare se la signora Rosaura abbia torto, o abbia ragione; se la donazione si sostenga, o non si sostenga; perchè queste sono cose imbrogliate e fastidiose, troppo contrarie al mio temperèunento: ma bramerei che voi mi faceste un piacere.

Alberto. La diga pur su. Se se poderà farlo, lo farò volentiera.

Conte. Compatitemi se vi do del voi. Con gli amici parlo con libertà.

  1. Bulada, soverchieria. [nota originale]